direzione artistica

La direzione artistica di una Istituzione teatrale può essere una estensione naturale per il lavoro di un regista. L’esperienza più significativa, per la profondità e raggio d’azione cui sono stato chiamato, è stata dal 2002 al 2012 la Direzione Artistica della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia.
Qui di seguito alcune note che riassumono i contenuti più significativi di questa esperienza.

La differenziazione dell’attività.

Il progetto artistico della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia si dispiega sui teatri Valli, Ariosto, Cavallerizza, tre spazi dalle tipologie molto diverse, atti a ospitare un’attività diversificata in quasi tutti i generi dello spettacolo dal vivo. (1)
Il sistema dei tre teatri, il volume e la tipologia dell’attività della Fondazione, costituiscono un esempio unico nello scenario culturale italiano, per certi aspetti simile al modello di alcuni Teatri di Stato tedeschi. (2)
La Fondazione non dispone di masse artistiche stabili, quindi è naturalmente indirizzata verso la ricerca di partner artistici e produttivi in sintonia con i propri progetti. Questa carenza si è rivelata nel tempo una importante risorsa per i Teatri, che si sono spinti in modo naturale verso una marcata differenziazione dei progetti e delle figure artistiche coinvolte. (3)

Il mandato ricevuto nel 2002 dai vertici della Fondazione era chiaro: sviluppare una identità culturale del Teatro fortemente indirizzata verso l’innovazione. Innovazione a tutti i livelli: dei contenuti progettuali, delle tematiche, della modalità dell’offerta e della comunicazione.
Negli anni il Teatro di Reggio Emilia si è andato configurando in un un teatro di idee e di produzioni, credendo con forza al meccanismo virtuoso grazie a cui una maggiore qualità dei progetti può portare a maggiore qualità delle relazioni produttive e degli investimenti.
Il Teatro ha affrontato questa mutazione con profonda convinzione, mettendo in campo grande energia e passione.

Il progetto artistico elaborato dalla Fondazione a partire dal 2003 ha puntato a sviluppare un’ idea di teatro con radici forti nella storia culturale della città, nel suo essere fortemente proiettata nel futuro. Nulla condannava la Fondazione I Teatri a un futuro da teatro provinciale. L’obbiettivo, far crescere un Teatro di progetti e di produzioni, un teatro che lavora per il pubblico, di sicuro per il pubblico di oggi, ma in modo forte e convinto anche per il pubblico di domani e per il pubblico che ancora non c’è.

Un teatro luogo dell’immaginario

Questo è, in definitiva, l’essenza del lavoro di un teatro del nostro tempo: rendere possibile che lo stupore accada, difendere e nutrire l’immaginario del proprio pubblico, perché tra i beni primari minacciati, quasi atrofizzati, vi è proprio l’immaginazione delle persone, di tutti noi – e l’accento va messo in particolare sulle nuove generazioni. Compito del teatro è, in controtendenza, favorire l’accesso al luogo dell’immaginario per eccellenza.

Rinforzare nel pubblico la consapevolezza che lo spettacolo dal vivo debba prima di tutto promuovere la qualità, artistica e di contenuti. Ogni spettacolo o concerto o incontro o lavoro con gli studenti, di alcune centinaia che vanno in scena ogni anno a Reggio, è un tassello, parte di un progetto complessivo, e la dedizione alla qualità ha come corollario l’obbligo a una notevole dose di coerenza.

Il riconoscimento della qualità del progetto ha portato la Fondazione I Teatri a ricevere per due volte il Premio Abbiati: nel 2005 la produzione di An index of metals, video opera di Fausto Romitelli, all’interno di REC è stato giudicato migliore nuova proposta; nel 2009 la produzione di Fidelio di Beethoven, all’interno della stagione di Opera del Teatro Valli, con la regia di Kris Kraus, è stato riconosciuto migliore spettacolo prodotto in Italia nel 2008.

Sono personalmente convinto che, per progettare un percorso culturale nella contemporaneità, la coesistenza sia un elemento essenziale: coesistenza dei pensieri, delle culture, delle tradizioni, dei linguaggi.
Per quanto riguarda il progetto di Reggio Emilia, andava indicata chiaramente, e da subito al pubblico, la possibile positiva convivenza di generi, di categorie dello spettacolo, di repertori, di fasce di pubblico, di linguaggi espressivi differenti.
Non a caso, il testo – e l’autore – scelto per essere la pietra angolare del progetto artistico dei Teatri è stato, nel 2005, Il Flauto Magico, opera che sulla coesistenza e dialettica del molteplice fonda la propria grande utopia.

Nel campo dell’Opera, il repertorio proposto, oltre ovviamente a capisaldi del repertorio ottocentesco, ha spaziato da opere di Monteverdi a diversi titoli del Novecento storico, per giungere alla commissione e produzione di nuove opere a compositori contemporanei tra cui La Licata, Nova, Krawczyk, Sani, Battistelli, Casale.

Nel campo della danza, ha dato vita a progetti e nuove produzioni con coreografi italiani e della scena internazionale che hanno portato a Reggio Emilia artisti come Trisha Brown, Shen Wey, William Forsythe, Ian McGregor, Sasha Walz, impegnati in loro produzioni al Teatro Valli o in performance appositamente pensate per spazi esterni al Teatro, come le produzioni site-specific realizzate all’interno della Collezione d’arte Maramotti.

Il Festival REC, dal 2009 Aperto Festival, ha dato vita a progetti sperimentali e innovativi. In particolare il progetto di Boltanski, Kalman, Krawczyk Tant que nous sommes vivants, produzione che ha segnato fortemente l’identità del Teatro, ha rappresentato un unicum assoluto unendo arte installativa, musica, azione teatrale, performatività includente il pubblico stesso come elemento imprescindibile della installazione-spettacolo.

Altra significativa linea di lavoro è stata la creazione di attività volte a formare il nuovo pubblico in particolare in campo teatrale e musicale, con progetti specifici rivolti ai più giovani e agli studenti di ogni età e corso di studi, dagli asili all’università. Iniziative che rappresentassero un concreto coinvolgimento del pubblico più giovane all’interno delle attività, cui il Teatro ha dedicato la massima cura, passione e visibilità.
Opera Kids, Orchestra in gioco, Opera domani, Off-Opera (4): queste alcune delle attività promosse dalla Fondazione.

Proseguendo questa strategia fortemente inclusiva, alcuni progetti hanno contribuito a rinforzare la presenza attiva del Teatro sul territorio, e a renderne visibili gli indirizzi.
Significativo di questa volontà è stato, nel 2007, il Flauto magico di strada, che è diventato un progetto sulla identità cittadina coinvolgendo, in oltre trenta piazze e cortili cittadini, oltre mille tra musicisti, danzatori, attori, artisti provenienti da quasi tutte le diverse comunità etniche e religiose presenti a Reggio Emilia, in una kermesse di 24 ore seguita da oltre 60.000 spettatori.

Contemporaneità

A partire da questa spinta progettuale, è diventata via via più chiara l’identità di un teatro che lavora concretamente al superamento di vecchie dicotomie quali didattica e spettacolo, estetica e conoscenza, piacere e apprendimento, cultura alta e cultura popolare.
Così come l’insieme delle attività ha puntato con forza al superamento di un’altra dicotomia, forse la più radicata, quella tra tradizione e innovazione.

La convivenza nella stagione lirica di opere di Verdi e Stravinskij, di Monteverdi e Henze, di Haendel e Weill, il trittico dapontiano di Mozart proposto con taglio drammaturgico profondamente contemporaneo, il Festival Aperto, che apre finestre sulla produzione artistica e musicale europea più attuale e in fieri: sono solo alcuni esempi di una molteplicità dai presupposti per nulla scissi nella dicotomia tradizione – innovazione, e riassumibili nella parola contemporaneità. In senso stretto, come monitoraggio di quanto ci accade intorno, e in senso largo, come un rapporto con la tradizione che non la ripropone, ma la fa rivivere nel profondo dell’oggi.

È il medesimo Teatro a programmare Mozart e Stockhausen, indicando al proprio pubblico una strada non schizofrenica, ma il modo positivo in cui i propri progetti più innovativi, principalmente ospitati nel Festival Aperto, innervano di senso i cartelloni delle stagioni classiche, cercando rimandi e prossimità che costituiscano aperture al futuro.

Lo stesso spirito, la stessa apertura ad un pubblico nuovo o non ancora abituato all’offerta culturale del Teatro, ha segnato fino dall’ origine alcuni dei progetti più significativi messi in atto. Spettacoli come Rwanda ’94, o Tant que nous sommes vivants di Christian Boltanski, hanno portato al teatro Valli spettatori che solo in minima parte rientravano nella famiglia degli abbonati alle stagioni classiche. Si è offerto così a un pubblico nuovo, o a spettatori più saltuari, l’occasione di conoscere il teatro a partire da iniziative connotate da una forte componente di imprevedibilità, difficilmente incasellabili all’interno di categorie precostituite dello spettacolo dal vivo.

A conferma del fatto che un teatro deve essere un luogo attivo e vivo non solamente dedicandosi alle aperture di sipario, la Fondazione ha dato vita ad Architettura & Teatro, che probabilmente è stato, in quegli anni, il punto più alto nell’ elaborazione di un progetto identitario. Un seminario triennale, successivamente sviluppato in un libro, in cui sono stati confrontati progetto architettonico, sapere ingegneristico e tecnico, linguaggi dello spettacolo dal vivo, fruizione, proposte di progetti e di nuovi spettacoli, attenzione al ruolo del pubblico, messa in discussione delle modalità che in generale caratterizzano la realizzazione di nuovi edifici teatrali. Pensiero del teatro e sul teatro.

In parallelo, diversi spettacoli hanno costituito occasioni per ripensare lo spazio teatrale tradizionale in varie modalità: rovesciamento del set, scambio di funzione fra sala e palcoscenico, libera circolazione del pubblico, suo inserimento in ambienti immersivi, uso di pareti-video che riarticolano gli ambienti, prossimità pubblico-artisti, etc.
Ne sono scaturiti molteplici modi di relazione fra spettatore e spettacolo e nuove sintonie comunicative, più simili all’esperienza vissuta che non alla contemplazione distaccata.
Questi progetti sono serviti a radicare un diverso rapporto tra il teatro, inteso proprio come luogo in cui avvengono delle cose, e i suoi spettatori. (5)
Il sistema dei tre teatri reggiani ha dimostrato, negli anni in esame, grande duttilità nel legare i progetti artistici ai luoghi teatrali. Duttilità che ha consentito una notevole differenziazione linguistica delle proposte.

Un soggetto culturale

Non c’è pensiero o immaginazione dell’utopia dove non ci sia consapevolezza. Gli spettatori di Reggio Emilia sono stati invitati ad assumere di fatto la funzione pubblica del teatro come parte di un processo in cui lo spettatore stesso è soggetto attivo, giudice e partecipe. Un primo risultato concreto lo si è verificato nella maturazione del pubblico, sia quanto ad autonomia di scelta sia quanto ad attenzione e passione manifestate.
Si tratta in definitiva di concepire una struttura di programmazione e produzione teatrale come un vero e proprio soggetto culturale attivo sul territorio, responsabilizzato nel produrre offerta culturale di qualità, in collaborazione con le istituzioni culturali contigue e affini, al fine di promuovere concretamente l’idea che un Teatro sia la casa della e delle culture.

Coraggioso, innovativo, libero da condizionamenti. In questo modo penso si possa descrivere il progetto di lavoro portato avanti dai Teatri di Reggio Emilia lungo gli anni e che qui abbiamo cercato di documentare.

note e riferimenti

Molti passaggi di questo testo provengono dal saggio scritto per il volume Reggio Emilia. Il teatro, i teatri, la città (Silvana Edizioni, 2007) in occasione dei 150 anni del Teatro Valli.

(1) Ai tre teatri si aggiunto, dal 2004, lo spazio della Fonderia, una ex fabbrica ora destinata alla danza e sede di Aterballetto

(2) La Fondazione ha messo a punto un sistema di sei stagioni principali in abbonamento – Opera, Concerti, Prosa, Danza, Teatro per ragazzi, Teatro Musicale e Operetta – un Festival di Musica, Teatro e Arte contemporanea, REC – Reggio Emilia Contemporanea fondato nel 2003, che proseguiva idealmente l’attività inaugurata  negli anni ’70 da Musica e Realtà e successivamente da Di Nuovo Musica sempre a Reggio Emilia.
Dal 2008 alle mie competenze è stata aggiunta la direzione artistica del Festival Internazionale di Danza RED – Reggio Emilia Danza.
Dal  2009 i due Festival, REC e RED sono stati uniti in un’unica programmazione denominata Festival Aperto, all’interno di Reggio Parma Festival.
Inoltre, a partire dal 1987 la Fondazione ha dato vita al Premio Internazionale Paolo Borciani per  Quartetti d’Archi che ha cadenza triennale.

(3) Il numero e la qualità delle coproduzioni instaurate con teatri non italiani negli anni in esame lo dimostra: coproduzioni realizzate con  teatri come Teatro Real di Madrid, FestSpielHaus Baden Baden, Festival Mozartiano di La Coruna, con il Festival di Edinburgo, con il Teatro Helikon di Mosca. E, per restare al panorama italiano, con i teatri della Regione Emilia Romagna – Ferrara, Modena, Bologna, Parma, Ravenna – l’Accademia nazionale di Santa Cecilia, l’Auditorium di Roma, l’Arena di Verona, l’Opera di Roma, il Teatro Petruzzelli di Bari, i Teatri del circuito lombardo, il Teatro Due di Parma, la Corte Ospitale di Rubiera, e, dal 2008, con il Festival Verdi di Parma, eccetera.

(4) Il progetto Off-Opera, sotto la direzione del regista Francesco Micheli, ha portato centinaia di studenti delle scuole superiori ad appassionarsi al grande repertorio del Teatro d’Opera attraverso comparazioni e intersecazioni con i linguaggi contemporanei, dalla musica elettronica ai linguaggi del web.
Un approdo significativo di Off-Opera a Reggio Emilia è stata la ideazione e produzione di Fidelio Off, a cura di Francesco Micheli, progetto di trascrizione del capolavoro di Beethoven all’interno e con la realtà carceraria di Reggio Emilia, nel 2008, a fianco della produzione del titolo beethoveniano al Teatro Valli.

(5) Data per certa la continua possibilità di trasformazione dello spazio offerta dalla Cavallerizza, che su questo tipo di funzionalità mutevole è nata, resta da rilevare come gli altri due teatri, con il loro portato di spazi storici, hanno in questi anni consentito una progettazione drammaturgica che coinvolgeva proprio la loro natura architettonica.
La tipologia di pensiero architettonico e teatrale espressa dal teatro Valli ha suggerito  ampie possibilità di immaginazione rispetto alla trasformazione dei suoi spazi in percorsi dalla scrittura teatrale, come la Installazione democratica verticale, realizzata con forze interne per diversi anni, che univa la possibilità di un percorso installativo alla scoperta di spazi del teatro altrimenti inaccessibili al pubblico
Il teatro Ariosto, lo spazio forse più codificato, a causa di una frontalità platea-palcoscenico difficilmente trasformabile, invita invece all’inserimento di progetti artistici forse più unidimensionali ma notevoli nella richiesta di modernità e rigore, ad esempio nella presentazione dei lavori musicali di  Uri Caine e di Stockhausen e di Opera domani.
Un aspetto molto promettente, dal punto di vista degli addetti ai lavori, è il fatto che tali sperimentazioni si auto alimentano: ogni nuova idea, fa intravvedere altre strade, sicché lo spazio non è un dato statico, ma diviene un campo di possibilità.