Vladimir Majakovskij: poeta, drammaturgo, sceneggiatore, illustratore, attore. La sua opera rappresenta l’incontro forse più significativo tra l’esperienza artistica, come fatto rivoluzionario, e i movimenti di massa delle nascenti democrazie d’inizio novecento.

Affrontare i suoi testi significa ridare voce ad uno degli artisti più coraggiosi di quello straordinario periodo storico in cui fiorirono le tante figure, i motivi, le teorie e i colori delle avanguardie russe. Significa riavvicinarsi ad uno dei luoghi in cui più alto parla il valore della pratica artistica, la sua necessità.

In scena il poeta compare nelle immagini fotografiche o cinematografiche che ci rimangono di lui, mentre una grande attrice, Lucilla Morlacchi, impersona la sua voce poetica, il suo incessante bisogno di verità e d’amore, la sua anima nobile di grande provocatore al servizio dell’utopia.

Quando il linguaggio si fa smorfia e piaggeria, quando la canzone diventa consolatoria  falsificando i sentimenti, allora la poesia tace.
Ridare una voce a Vladimir Majakovskij è il senso di questo spettacolo di teatro poetico.

“La fucilazione di Gumilev 1921,
la lunga agonia spirituale e gli insopportabili tormenti fisici di Block 1921,
le crudeli privazioni e la morte tra sofferenze inumane di Chlebnikov 1922,
i meditati suicidi di Esenin, 1925 e di Majakovskij, 1930.
Così, nel corso degli anni venti, una generazione ha dissipato i suoi poeti,
e in ognuno di essi vi è la coscienza dell’ineluttabile condanna,
intollerabile nella sua lentezza e precisione.”

Roman Jakobson